Ogni volta che parlo con i social media manager delle mie aziende o con le agenzie che ci supportano nelle attività di advertising, lo sento nominare. Ogni volta che si inizia a discutere di intelligenza artificiale appare.
È lui, ma non ha una faccia. C’è – è presente – tutti ne interpretano il funzionamento senza però poter determinare in modo certo cosa farà, come reagirà, cosa succederà.
Ci sono dei momenti in cui ho il dubbio di aver a che fare con Keyser Söze (de “I soliti sospetti”).
Sto parlando dell’ Algoritmo. Soprattutto quello (anzi quelli) dei social network.
“Quelli” – perché non ce n’è uno unico ma diversi, e funzionano in modo diverso proprio perché, così facendo, possono differenziare il modo in cui ingaggiare gli utenti.
Un algoritmo è una procedura automatizzata, una sorta di formula per risolvere un problema, basata sull’esecuzione di una sequenza di azioni definite. In matematica e informatica, per algoritmo di solito si intende una piccola procedura che risolve un problema ricorrente.
Gli algoritmi sono ampiamente utilizzati in tutte le aree dell’IT (tecnologia dell’informazione), ma l’espressione probabilmente è entrata sempre più nel gergo di uso comune a partire dall’utilizzo che i motori di ricerca (tipo Google) ne fanno. E poi, in modo ancora più rilevante, frequente e quasi esoterico, quando ci si riferisce all’algoritmo dei social media.
Sul motore di ricerca, formalmente, l’algoritmo prende come dato di ingresso i termini che noi digitiamo, li traduce nella sua lingua di parole chiave e operatori, e cerca nel suo database le pagine web che formalmente appaiono più pertinenti alla domanda, restituendole come risultati.
In ambito social media, gli algoritmi sono alla base della selezione e dell’ordine di apparizione dei post e contenuti che vengono proposti all’utente, in funzione di quello che il software che ci sta dietro stima come “probabilmente più rilevanti e di interesse” per chi leggerà.
Abbiamo già detto che social media diversi agiscono sulla base di algoritmi diversi, e premiano comportamenti differenti. Di certo, assieme – e talvolta anche “al di là” del contenuto intrinseco di un post, una pagina web o un video – sono alla base della viralizzazione o dell’anonimato di un contenuto.
Prima del passaggio agli algoritmi, la maggior parte dei social media visualizzava i post in ordine cronologico inverso. In breve, i post più recenti degli account seguiti da un utente venivano visualizzati per primi. Alcuni social forse consentono ancora questa opzione (ma è necessario trafficare non poco tra le impostazioni…).
Gli algoritmi sono in continua evoluzione, cercando di risolvere anomalie e fornire la migliore esperienza utente possibile. Non a caso chi si occupa di marketing si trova costantemente a sperimentare e modificare le proprie strategie per adattarsi a ciò che sembra essere più premiante in termini di visualizzazioni.
Perché l’aspetto controverso, infatti, è un po’ questo: gli algoritmi di fatto filtrano il contenuto, con l’obiettivo di fornire all’utente post interessanti, basati sul comportamento statistico dell’utente. Ciò porta però ad un’esposizione sempre più focalizzata nella stessa direzione. Te ne accorgi subito quando fai qualche ricerca su argomenti specifici per qualche giorno… poi per settimane ti continuano ad apparire video, post e annunci pubblicitari sull’argomento e sembra che al mondo non esista più altro!
Ogni minuto vengono pubblicati migliaia e migliaia di contenuti: post, articoli, immagini, video. Senza una qualche formula che proponga un po’ di ordine e selezione, sarebbe praticamente impossibile interagire con tutte queste informazioni, soprattutto per gli utenti che seguono centinaia o migliaia di account.
Il problema però è che gli algoritmi non sono perfetti, e possono anzi essere anche programmati per “nascondere” anziché far scoprire informazioni o fenomeni specifici. E di sicuro i social network non sono delle organizzazioni no-profit; quindi, a voler pensar male, pilotando gli algoritmi i social possono indurti a privilegiare gli annunci a pagamento.
Quali sono quindi le parole magiche per rendere l’iterazione con l’Algoritmo più agevole?
- ENGAGEMENT
Per cominciare, gli algoritmi premiano il coinvolgimento (cioè: like, commenti e condivisioni). Più ce ne sono più il post verrà visualizzato, come una sorta di effetto valanga.
Quindi fai domande e incoraggia i commenti del tuo pubblico perché più ce ne sono, più è probabile che il tuo post venga ricompensato (= maggior visibilità).
Invita all’azione i tuoi utenti: i post basati su domande sono un modo semplice per incoraggiare le interazioni e allo stesso tempo connettersi con il tuo pubblico.
- @TAG
Taggando altri account è come se stessi esplicitamente facendo un invito ad altri utenti a condividere il tuo contenuto.
Se stai citando un’altra azienda, marchio o cliente, assicurati di taggare i loro account. Stessa logica può essere applicata nella cerchia di amici e familiari in risposta a una domanda o un commento.
Questi tipi di post dovrebbero essere usati con parsimonia in modo dahe non esser considerati delle esche esplicite, ma sono particolarmente utili per promozioni oppure sondaggi.
- #HASHTAG
Gli hashtag servono essenzialmente a rendere i tuoi contenuti ricercabili e quindi estendono la portata di un post allegandolo a una categoria.
Per quanto riguarda gli algoritmi social, gli hashtag assegnano una categoria al tuo contenuto aumentando la probabilità che appaia agli utenti interessati a quel tag.
C’è molto dibattito su ciò che è “ottimale” in termini di hashtag, ma come regola generale, utilizzare qualche hashtag è ragionevole e utile su qualsiasi tipo di social network, in particolare per classificare i tuoi contenuti e le tue campagne di advertising a pagamento.
- POST-TIMING
Ricordi l’effetto valanga di cui abbiamo accennato parlando di engagement?
Il tempismo è un fattore determinante per il successo di qualsiasi contenuto. Ad esempio, pubblicare quando è più probabile che il tuo pubblico sia attivo significa che è più probabile che i tuoi post vengano visti e siano in grado di “incassare” commenti.
I momenti migliori per pubblicare variano da social a social e – una volta capito quello che funziona (dopo aver effettuato qualche test), è importante programmare la pubblicazione dei contenuti di conseguenza. I social permettono tranquillamente di programmare l’uscita ma – soprattutto in situazioni più strutturate e con volumi molto rilevanti – esistono anche dei software in grado di gestire queste attività in modo automatizzato.
- TEST e TRACKING
Non essendoci una regola deterministica che vale per tutto e per tutti, l’unico modo per avere delle certezze è sperimentare e misurare gli effetti dei propri test.
Dando per scontato che tipo di contenuto, tone of voice, e social su cui si è deciso di veicolare il messaggio, siano appropriati, è necessario effettuare dei test concreti, ad esempio postando ad ore diverse, oppure privilegiando descrizioni brevi o più articolate, o immagini e video rispetto a testi scritti, contenuti a link diretto rispetto a soluzioni che implichino più passaggi per arrivare al contenuto originale.
È necessario poi capire e misurare la performance di tutte queste azioni, e anzi: misurarne sempre una alla volta in modo da poter dedurre in modo quanto più accurato da cosa derivi il successo o l’insoddisfazione in termini di risultati ottenuti.
Individuando tendenze e picchi di coinvolgimento, puoi determinare da solo cosa pubblicare o no, in base alle reazioni del tuo pubblico e al tasso di coinvolgimento. Più dati riesci a raccogliere, meglio è.
Per tracciare non sono necessari software elaborati: tutti i social network offrono abbondanti analytics su account e pagine gestite, e attraverso Google Analytics è possibile analizzare la performance delle proprie pagine web.
Ovviamente quanto descritto sopra è solamente la punta dell’iceberg di ciò che si può dire sull’argomento. L’esperienza insegna quotidianamente e man mano che ci si interagisce, si capisce quanto sia sfidante addentrarsi sempre più nei meandri dell’algoritmo.
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