Qualche giorno fa mi è capitato di rivedere il film: “Eddie the Eagle”, tradotto in italiano come “Il coraggio della follia”.
Il film racconta la storia di Michael Thomas Edwards, detto Eddie e soprannominato poi “The Eagle” (l’aquila): il primo atleta inglese ad aver partecipato alle olimpiadi invernali nella specialità del salto con gli sci.
Storia di successo o di fallimento?
Beh, dirai… “Il primo atleta ad aver partecipato alle olimpiadi invernali in una specifica specialità”: sicuramente una storia di successo.
E se ti dicessi che… Eddie è sempre arrivato ultimo (salvo qualche raro piazzamento come penultimo e uno addirittura come quartultimo) e sempre con ampissimi distacchi dall’ultima posizione?
Eddie aveva un sogno: andare alle olimpiadi.
In particolare, ci voleva andare con una specialità sciistica, peccato però che era nato in una nazione priva di tradizione in questo senso, tanto che scoprì lo sci grazie ad una settimana bianca organizzata dalla scuola ad Andalo (in provincia di Trento).
Wikipedia lo definisce uno “discreto sciatore nella discesa libera”, tanto che tentò di qualificarsi per le olimpiadi invernali di Sarajevo – 1984. Ma niente, tentativo fallito.
Si convertì quindi al salto con gli sci: hai presente quel mega scivolo alto decine di metri da cui folli sciatori si lanciano per fare un volo di cui viene misurata la lunghezza? Ecco… quello. Non proprio una scelta qualunque.
Non ti racconto tutta la storia, ma ti cito qualche piazzamento:
- Esordio internazionale: Coppa Europa FIS St. Moritz, 1986 – salto di 60 metri – 67° e ultimo posto.
- Coppa del mondo a Oberstdorf, torneo dei quattro trampolini 1986 – salto di 65 metri – 110° posto (ultimo con grande distacco)
- Oberstdorf, trampolino normale, 1987 – salti di 59 e 61,5 metri – ultimo.
- Coppa del mondo, a Örnsköldsvik e Falun, 1987 – ultimo in entrambe
- Oslo, 1987, per la prima volta penultimo (85° posto)
- Wikipedia continua ad elencarne diverse… sempre ultimo o penultimo…
Ma intanto – a suon di tentativi riuscì a conquistare il record britannico: un primato che gli valse la convocazione olimpica. “Ne fu informato mentre lavorava come intonacatore e mentre, a causa della mancanza di fondi per trovare una sistemazione alternativa, risiedeva temporaneamente in un ospedale psichiatrico”.
Tu immagina che personaggio…
Riuscì quindi a partire per le olimpiadi di Calgary, dove partecipò con attrezzature (casco e sci) regalategli da altre squadre. Si classificò (ovviamente ultimo) al 58° posto, con 69,2 punti. Il penultimo ottenne 140,4 punti, il vincitore 229,1 – tanto per darti un’idea di che stiamo parlando.
Deciso di sfruttare al massimo l’esperienza decise di lanciarsi da un trampolino 20 metri più alto – così – senza mai essersi allenato, né averne esperienza. Anche sul K90 arrivò ultimo, con più o meno la metà dei punti rispetto al penultimo e circa un quarto di quelli del vincitore.
Ora ti rifaccio la domanda: storia di successo o di fallimento?
Io continuo a ritenerla senza ombra di dubbio una storia di successo (e ti consiglio il film perché è molto coinvolgente), ma soprattutto un ottimo insegnamento che mette in prospettiva quella che secondo me sono le definizioni di “successo” o “fallimento”.
Ho tratto una serie di spunti di riflessione da questa storia.
- Determina la tua definizione di successo
Il successo non è di per sé la stessa cosa per tutti quanti. Ognuno ha i propri valori e ognuno deve quindi darsi una definizione chiara per misurare quanto le sue esperienze si avvicinino o allontanino al suo ideale.
Per Eddie successo era partecipare alle olimpiadi – non essere il miglior saltatore al mondo.
2. Definisci degli obiettivi adeguati a chi sei e da dove parti
Eddie sapeva di “non poter essere” il miglior saltatore, per una serie di motivi (che non ti spoilererò). Se ti dai obiettivi che sono totalmente al di fuori della tua portata è ovvio che non potrai raggiungerli e l’insuccesso ti provocherà una sensazione di frustrazione tale da disincentivarti a riprovarci.
Se arrivi ultimo in qualcosa che era palesemente al di fuori delle tue possibilità, val la pena mettere in prospettiva il risultato: il successo è averci provato, il piazzamento diventa irrilevante.
3. Allenati ad affrontare nuove sfide, allenati ad uscire dalla tua zona di comfort.
Spesso le persone non si cimentano in un’esperienza nuova. Ormai sembra rischioso lasciarsi ispirare anche solo da un ristorante per strada senza aver prima controllato su qualche applicazione il rating in base alle recensioni!
Esporsi quotidianamente a piccole “minacce di fallimento” è invece un ottimo metodo per allenarsi al successo. Affrontare spesso situazioni che sono al di fuori del tuo controllo permette al tuo cervello di imparare a prendere dei rischi calcolati, e di misurare il grado di minaccia di una qualsiasi esperienza in modo più oggettivo.
Il più delle volte, chi teme il fallimento è chi si è sentito ripetere troppo spesso “stai attento”.
Occhio a non cadere! Attento a non farti male! Trovati un lavoro sicuro… questi mantra ripetuti fin da quando uno è piccolo diventano una voce interna che ci mette in allerta di continuo.
Cerca di tornare indietro a quando, da bambino, hai scoperto come spingerti da solo sull’altalena. Pian piano hai cercato di capire quanto in alto saresti potuto andare, no? Tutti l’abbiamo fatto… e poi lo step successivo era – solo per pochi – il salto al volo. L’atterraggio non era sempre dei migliori… ma di sicuro quelli che ce la facevano non erano i “fortunati”, ma gli “spericolati” che non perdevano occasione per provare e riprovare, per affinare la tecnica.
Allo stesso modo, anche essere in grado di far nuove esperienze è un muscolo che va allenato e l’ideale è farlo in modo graduale ma continuo.
4. Confrontati con altre persone, se possibile trovati un mentore
Eddie di certo non era l’emblema dello sportivo atletico e, nella storia (forse romanzata) decide di affidare la propria preparazione ad un ex-atleta, la cui fama era tramontata prima ancora di nascere.
Condividere i propri dubbi con qualcun altro, parlare dei propri insuccessi apertamente, può aiutare moltissimo. A tutti capita di trovarsi di fronte a situazioni che possono rivelarsi fallimentari ma, spesso, solo quando qualcun altro confida le proprie debolezze si è pronti a manifestare le proprie.
Parlare dei propri errori, ammetterli, chiarire qual è l’insegnamento che se ne è tratto è un modo estremamente coraggioso e costruttivo di affrontare i propri insuccessi. E ancora più utile può essere farlo con qualcuno che già ci è passato, che può comprendere la portata emotiva che deriva dal non avercela fatta.
5. Guarda al fallimento come ad un momento a sé, non identificarti
Immagina la tua vita come un film, un insieme di fatti, scene ed episodi apparentemente casuali, a volte non correlati altre in qualche misura dipendenti. Un film è fatto di fotogrammi. Se immagini i fallimenti come fotogrammi, ti accorgerai che per quanti siano, rappresentano solo una percentuale molto piccola della tua vita.
Se non giudichi un film da una manciata di fotogrammi, allora non puoi associare il significato della tua vita ad un unico episodio – felice o triste che sia.
Ogni insuccesso può sempre essere visto da più punti di vista: il fallimento è la vanificazione di un’intenzione. L’insuccesso diventa fallimento nel momento in cui uno abbandona il progetto che ha tentato e lo accantona perché pensa di non essere in grado di andare avanti, di riprovarci, di ritentare e, quindi, di farcela. Se invece l’insuccesso viene visto come parte naturale del percorso, come un momento di apprendimento, come un (tutto sommato raro…) fotogramma di un film ben più lungo e articolato, ecco allora che tutto prende una piega diversa.
Il mio augurio è quindi questo: prova, fallisci, impara, e poi riprova, fino a quando avrai successo.
E se ti va di condividere la tua storia: scrivimi. Sarò felice di conoscerla e, se si dovesse trattare di storie di impresa digitale, sarò ancora più curioso di parlare con te del mio percorso e dei momenti difficili che ho affrontato.
Claudio Rossi – Imprenditore Digitale e Business Coach