Cosa fai, normalmente, per tener d’occhio i trend emergenti?
Alle volte mi capita di fare questa domanda a persone che conosco occasionalmente a qualche cena, o in vacanza. A volte si tratta di liberi professionisti, altre di persone che svolgono un lavoro da dipendente.
Ogni tanto mi capita di parlarne anche con chi ha un’impresa propria e si lamenta della difficoltà di aumentare le vendite. In quest’ultimo caso, in particolare, non è raro che io conosca qualche startup che opera nel settore di riferimento di questi imprenditori, e gliene parlo divertendomi ad osservare i loro occhi sgranati. Magari ci ho investito direttamente, magari ho visto le campagne attive in crowdfunding, alle volte ho solo letto qualche storia seguendo qualche commento brillante sui social.
E mi chiedo: com’è possibile che un imprenditore, che conosce molto bene la filiera in cui opera, magari la complessità logistica, le modalità distributive, i fornitori, che ha una mappatura articolata del proprio business, dall’altro lato non si tenga aggiornato su ciò che nuove aziende innovative stanno sperimentando nel settore?
La stessa domanda vale per i liberi professionisti, magari in difficoltà sugli incassi dai clienti, che non conoscono o decidono inspiegabilmente di non avvalersi di servizi semi-gratuti per l’addebito periodico, o non hanno mai sentito parlare dei loro competitor che spopolano sui social grazie al personal branding. Per non parlare dei dipendenti che vorrebbero cambiare lavoro, ma riescono ad immaginare solo una posizione simile in un’azienda diversa.
Onestamente credo che lo sforzo che da anni viene fatto anche in Italia a livello normativo e fiscale per agevolare l’innovazione e la sperimentazione, dovrebbe incentivare chiunque, imprenditori e non, ad aprirsi con curiosità al futuro.
È evidente che uno dei trend dell’ultimo decennio è la nascita ed esplosione di nuovi enormi player digitali. Da Google e Facebook dei primi anni duemila, la corsa è stata sempre più rapida e frequente. E ormai, con cadenza quasi annuale esplode qualche big-trend che è fondamentale seguire.
Faccio qualche nome (ma… aggiungi a piacere): Booking.com, Airbnb, Alibaba, Ebay, Zalando, nuovi social come Instagram o il più “recente” Tik Tok. Alcuni mesi fa tutti a parlare di Clubhouse. In queste settimane imperversa ovunque la pubblicità di “Vinted” e stranamente non si sente ancora parlare a tamburo battente di Etsy “un marketplace online globale dove le persone si riuniscono per creare e vendere, acquistare e collezionare articoli unici” (cito il loro sito).
Cos’hanno in comune tutte queste piattaforme apparentemente così diverse tra loro?
Ce l’ha spiegato molto bene Mattia Stuani, co-founder e CEO di Xingu, la prima agenzia italiana “100% Amazon Focused” che aiuta le aziende a massimizzare gli investimenti organizzativi e pubblicitari, offrendo servizi di consulenza per tracciare, analizzare, automatizzare e gestire, in una parola “ottimizzare” le attività di vendita su Amazon.
L’ho intervistato un paio di settimane fa nel mio format gratuito dedicato a chi vuole avviare un business online e non sa da dove partire. Se te lo sei perso, fino al 27 Giugno puoi trovare qui la registrazione completa.
Come dicevo, tutti questi big-player nascono con la loro missione che è fortemente orientata alla disintermediazione dei canali esistenti e alla gratificazione del cliente finale, cioè della persona che si trova davanti all’applicazione per acquistare.
Probabilmente è l’approccio da “Silicon Valley” – supportata da investimenti inimmaginabili in piattaforme e algoritmi di machine learning – insieme a qualche idea visionaria che ha reso possibile la nascita di questi cosiddetti “unicorn”.
Ma ampliando la prospettiva si vede che oltre a queste mega-corporations si è creato tutto un indotto di aziende che ne supportano lo sviluppo, perché hanno colto l’opportunità nascente.
Xingu è stata una di queste: costituita a gennaio 2018 è indiscutibilmente un caso di successo in Italia ed ha avuto il coraggio di osare, quando ancora le aziende (e parliamo di big-brands!) valutavano “se” approcciare Amazon o meno. Tre anni fa il colosso dell’e-commerce era ancora considerata un canale di vendita residuale.
Xingu ha capito che per Amazon un fornitore vale l’altro (ascolta l’intervista… c’è una chicca incredibile sul trattamento che un venditore estero ha ricevuto nonostante vendesse oltre 1 miliardo all’anno sul marketplace!). Amazon, infatti, è focalizzata sull’esperienza dell’utente finale e per lei i fornitori o distributori sono perfettamente interscambiabili: basta che ce ne sia uno in grado di vendere il prodotto che il cliente desidera, e chi se ne importa se di tratta del signor A o della ditta B (purché non si rivelino fraudolenti).
Non tutte le aziende di prodotto, tuttavia, hanno le competenze interne per poter interagire con il paradigma della vendita online. I servizi di questi colossi si basano su algoritmi sempre più automatizzati, orientati a fornire al cliente il prodotto che vuole, nel minor tempo possibile, al miglior prezzo possibile.
Quindi chi vede l’opportunità, prova ad approfondire per capirne di più. Inizia a sperimentare, cerca soluzioni ai problemi che riscontra e in qualche modo “industrializza” questa competenza mettendola al servizio di chi arriva dopo, o di chi non ha la stessa flessibilità ma è disposto a pagare per accelerare la soluzione dei propri problemi.
E che cosa può fare chi si trova in un apparente situazione di stasi e, anziché lamentarsi passivamente, vuole guardare al futuro?
Questi i consigli di Mattia.
- Copia dagli altri mercati
Queste piattaforme finora sono nate ed esplose principalmente negli Stati Uniti. Quando arrivano in Europa, o in Italia, il mercato statunitense è in una fase già più evoluta quindi è molto probabile che le esigenze che sono emerse oltreoceano, in modo similare si presentino anche da noi. Attenzione, è vero che gli states sono molto diversi dall’Europa per una serie di motivi: culturali, sociali e geografici. Ma anche questa è un’opportunità. Saper adattare un modello che altrove ha funzionato, localizzandolo su specifiche esigenze, comportamenti e tendenze, permette in ogni caso di muoversi da un lato su un terreno battuto, e dall’altro con uno scarpone che in qualche modo già si è usato in passato.
- Pianifica in anticipo ma naviga a vista
Nulla è prevedibile: quando parti devi essere bravo ad adattarti. È fondamentale redigere un piano di lavoro e avere un modello in mente, ma è ancor più importante sperimentare e non esitare a buttarsi su una strada parallela, se si intravede un’opportunità di crescita più rapida e redditizia. Ciò che non deve mutare, che deve rimaner saldo in mente a chiunque sia coinvolto nel progetto è la vision di medio termine.
Quindi ottimo avere un’idea iniziale, ma quando scendi in campo devi essere predisposto e pronto a cambiare la rotta e validare nuove soluzioni, se capita l’occasione.
- Se devi sviluppare tecnologia, aspetta di avere le idee chiare
Anche Mattia raccomanda di validare la propria idea ma introduce un concetto che Henry Ford aveva reso chiaramente. Il produttore d’auto disse “se avessi chiesto ai mei clienti cosa avrebbero voluto, mi avrebbero risposto: una carrozza con più cavalli”.
Quindi soprattutto lì dove investimenti infrastrutturali si rendono necessari, è importante non basarsi solo sui commenti dei potenziali clienti, perché è molto probabile che loro non siano interessati all’innovazione, anzi – probabilmente ne siano addirittura spaventati! I feedback vanno invece mitigati ampliando la propria prospettiva, immaginando a chi e in che contesto un prodotto nuovo potrebbe servire e, beh, osando un po’ anche contro il parere dei più, sempre in modo controllato e misurabile.
- Lancia il cuore al di là dell’ostacolo
Le citazioni sul tema si possono sprecare, ma il concetto non muta: non c’è mai un momento giusto o sbagliato per fare impresa, così come non c’è per qualsiasi altro progetto importante della propria vita.
Il momento giusto per partire, l’idea giusta da sperimentare, è quella che attiva dentro di te un click, che aziona un interruttore mentale e ti fa stringere lo stomaco: “se non lo faccio, un domani potrei sentirmi in colpa, avere il rimorso”.
Anche Jeff Bezos in un’intervista fatta per ricostruire quella che fu la spinta ad iniziare, ad abbandonare il suo lavoro da banker a Wall Street per buttarsi nel 1994 sulla vendita online di libri – idea inconcepibile ai più – rispose chiaramente che il pensiero dominante era stato “da anziano non voglio avere rimpianti”.
- A capo del team ci dev’essere uno che sa vendere
Questa sua chiosa finale forse è un po’ di parte, ma il messaggio che Mattia ci ha voluto passare è: chi interagisce con l’esterno deve saper comunicare, deve saper valorizzare il prodotto o servizio offerto, deve avere un network cui riferirsi e soprattutto non deve temere in alcun modo di attivarlo. Dev’essere fiero di ciò che fa ed entusiasta in modo talvolta anche maniacale, per poter trasmettere il suo trasporto anche ai potenziali clienti o investitori.
Analogamente, dove sono necessari sviluppi tecnici, è fondamentale avere a bordo un CTO (Chief Technology Officer) che condivida l’entusiasmo del progetto. Ogni area chiave dell’azienda deve avere a capo una persona che condivide intimamente la vision e la strategia, oppure si creeranno inevitabili frizioni che rallenteranno lo sviluppo e la crescita.
Le competenze e la specializzazione non sono mai interscambiabili quindi se da un lato devono essere comprese e valorizzate, dall’altro devono essere messe in campo senza riserva, o – come direbbe Luciano Ligabue – “fin quando fa male, fin quando ce n’è”.
Non perderti il webinar di stasera, giovedì 24 giugno alle ore 19, con Damiano Angelici parleremo di come ha messo l’intelligenza artificiale al servizio di uliveti e vigneti. Clicca qui e iscriviti subito gratuitamente per ricevere il link e partecipare in diretta, oppure la registrazione tra qualche giorno.
Non mancare!