Ti sei mai chiesto se il linguaggio che utilizzi sia quello adatto per i tuoi clienti?
Come tutti quelli che operano online, io e una mia collaboratrice di recente ci siamo trovati ad affrontare alcuni approfondimenti legati al mondo GDPR. Lei, che in genere si occupa degli aspetti legati al mio blog, mi ha fatto sorridere sbuffando “che noia il legalese”.
Parliamo tutti i giorni con i nostri clienti o ci rivolgiamo ad una pluralità di persone auspicando di avere un impatto positivo sulle loro vite. Di persona, via email, sui nostri canali social, ci concentriamo sull’esprimere ciò che abbiamo in mente, lasciando al nostro interlocutore l’onere di comprendere. Ma quanto ci sforziamo di farci capire?
In alcuni contesti professionali – in particolare quelli più specialistici – si tende a comunicare utilizzando un gergo specifico che, pur essendo quello più corretto dal punto di vista tecnico, mette distanza tra chi parla e chi vorrebbe capire.
Qualche anno fa, mentre mi godevo una giornata sugli sci tra le valli che più adoro del trentino, mi è capitato di cadere in modo rocambolesco. Esito: “lesione del sovraspinato”. Nei mesi successivi sono stato costretto ad approfondire e mi sono rivolto ad un “rinomato specialista ortopedico”. Durante la visita lui era molto focalizzato su spiegare come “l’articolazione gleno-omerale era stata compromessa” e quanto “una lesione della cuffia dei rotatori e un’infiammazione della borsa sub-acromiale possano ledere il tendine sovraspinoso o altri capi tendinei”. Non avevo idea di cosa stesse parlando. Ha continuato a parlare con parole più adatte a un collega medico che a un paziente.
Non ero affatto interessato al linguaggio medico: avevo da poco negoziato la creazione di quella che poi sarebbe diventata Neomobile, la mia prima startup digitale nel mondo del mobile entertainment, facevo la spola tra Perugia (dove si trovava il mio socio), Roma (dove si trovava la mia futura moglie) e Milano (dagli operatori telefonici). Semplicemente volevo evitare di soffrire ogni volta che alzavo una valigia!
Mi sono rivolto ad un altro medico, meno noto ma più pragmatico e comprensivo di quello che era il mio problema. Quando mi ha fatto capire, con parole semplici, che se non mi fossi operato e non avessi dato il giusto peso alla riabilitazione, avrei reso il problema cronico, ho programmato l’intervento e mi sono giocato qualche settimana di vacanza estiva, per non incidere troppo sulle sorti del mio neonato progetto imprenditoriale.
Noti nessuna differenza tra il linguaggio usato dal medico (nel primo paragrafo) e quello con cui ho descritto io il mio problema e quali erano le mie preoccupazioni?
In qualsiasi contesto e epoca, ma oggi più che mai, è difficilissimo conquistare visibilità. Puoi essere il professionista migliore sul campo ma, affinché gli altri lo capiscano, è essenziale che concentri i tuoi sforzi sul linguaggio.
Quale? Quello del tuo cliente ideale, ovvero di quella che in marketing viene definita la buyer persona.
Se sai cosa conta veramente, se riesci ad immaginare come si sente e cosa preoccupa (o diverte, o incuriosisce…) il tuo cliente, allora sarai in grado di rivolgerti ad esso con le parole più adatte.
Quando cerchi di attrarre clienti, soprattutto quando hai una certa esperienza e in passato hai sempre adottato un approccio generalista, per paura di allontanare le persone e di perdere delle occasioni potresti ritrovarti ad usare un linguaggio poco coinvolgente. Quando sai che grazie alla tua esperienza ci potrebbero essere mille modi per te di aiutare il tuo cliente, tendi a non dare alcuna evidenza e – paradossalmente – a passare inosservato.
Se fai appello a tutti, non piacerai a nessuno.
Se viceversa ti concentri su qualcosa di specifico che vuoi attirare, idealmente qualcosa di cui sei esperto e appassionato, che soddisfa veramente un’esigenza o risolve un problema della tua buyer persona, quando il tuo potenziale cliente ti intercetterà, sarà grato di incontrare qualcuno che finalmente lo capisca e sia in grado di aiutarlo.
Ecco qualche spunto su come metterti sulla giusta frequenza del cliente che cerchi o vorresti attrarre.
- Ascolta e cerca di comprendere.
Stephen Covey, nel suo celebre saggio “Le 7 regole per aver successo” spiega come la maggior parte delle persone non ascolti con l’intento di capire, bensì concentrandosi su come potrà rispondere. E riassume questo concetto nella sua quinta regola: “prima cerca di capire e poi di farti capire”.
Se vuoi essere realmente d’aiuto al tuo cliente, chiedigli innanzitutto di che cosa ha bisogno, cerca di trovare un modo di dialogare con la maggior parte delle persone, raccogli opinioni, chiedi pareri. Controlla la tua casella di posta e le iterazioni dei social media. I messaggi online sono una miniera di informazioni: persone che esprimono speranze, paure, sfide e ringraziamenti con parole proprie. Puoi anche ottenere ottimi indizi dai commenti sulle tue pagine di social media, nonché dai gruppi Facebook o LinkedIn utilizzati dai tuoi clienti ideali
2. Individua le sfide condivise o gli schemi ricorrenti.
Se lavori con clienti diversi o che cambiano di frequente, come capita ad esempio se sei un medico, un professionista legale o fiscale, ma anche un imprenditore nel mondo della produzione o della vendita al dettaglio, studia i tuoi interlocutori attraverso la lente di ciò che li ha condotti a te. Quali schemi comuni vedi? Riesci a identificare qualche elemento ricorrente? E riesci a riassumerli in una parola chiave?
Le funzionalità delle keyword su Google o degli #hashtag sui vari social si fondano esattamente su questo concetto.
Ad esempio, svolgi un’attività di vendita al dettaglio? I tuoi clienti si rivolgono a te con dei picchi stagionali o a seguito di eventi specifici? Quanto più riuscirai a capire cosa li attiva e cosa li rassicura, e parlargliene rivolgendoti a loro esattamente nel modo in cui loro stessi parlano, tanto più riuscirai a fidelizzarli ed essere presente nella loro mente quando avranno bisogno di te.
3. Evita il gergo o i termini troppo specialistici
Tra marketers è normale parlare di funnel, buyer persona, SEO e keyword. Tra medici è normale parlare di sindrome da …, morbo di…, tra ortopedici e fisioterapisti ci si può riferire ad un problema al ginocchio come ad una “lacerazione radiale nel menisco mediale”, ma appena esci dal contesto specialistico è fondamentale utilizzare un linguaggio comune.
Recentemente in un podcast piacevolissimo, un autore faceva questo esempio. Se cerchi un addestratore cinofilo è probabile che, quando vai online, tu digiti “addestratore cani”. E citava un’analisi che aveva condotto, riportando come il rapporto tra le keyword “addestratore cani” e “addestratore cinofilo” fosse di 33 a 1. Ogni 33 ricerche espresse con un termine di linguaggio comune, ne appariva una con linguaggio specialistico.
Se sei un esperto fiscale o legale, è normale tu sia propenso ad utilizzare termini precisi: nei documenti ufficiali e formali è opportuno farlo, ma se il tuo obiettivo è attrarre clienti – tenderai ad allontanarli se ti rivolgi a loro con lo stesso linguaggio di un accertamento dell’agenzia delle entrate!
Utilizzare frasi troppo formali o termini volutamente ricercati tende ad allontanare le persone, perché possono sentirsi sopraffatte, perse o frustrate. Io all’epoca mi feci operare da un altro medico.
4. Lavora sulla fiducia e sulla fedeltà
Secondo David Meister, autore di “The trusted advisor”, la fiducia è una funzione di credibilità, affidabilità ed empatia, corretta per il livello percepito di autoreferenzialità.
Sei credibile quanto le persone credono tu abbia le conoscenze, le capacità e le competenze per fornire loro i servizi di cui hanno bisogno. Crei credibilità attraverso l’esperienza, lo sviluppo professionale e l’apprendimento. E lo dimostri attraverso la qualità del lavoro che svolgi e il tuo contributo alle discussioni.
L’affidabilità è dettata dalla tua capacità di consegnare il lavoro che hai promesso, entro la scadenza concordata e nei limiti del budget condiviso. E ricorda: più tieni aggiornato il tuo cliente (spontaneamente) sullo stato avanzamento, più si sentirà rassicurato e ben predisposto.
L’empatia è ciò che ti permette di entrare in confidenza col cliente, permettendogli di sentirsi a proprio agio nel confidarti le sue necessità o insicurezze.
Tutto questo può però essere demolito da un eccesso di autoreferenzialità: se il cliente ha il dubbio che tu stia agendo solo ed esclusivamente nel tuo interesse personale, sarà molto restio a concederti la sua fiducia o, se l’avrà fatto una volta ma non si sentirà soddisfatto del risultato, difficilmente si affiderà nuovamente a te.
A tal proposito: come avrai visto il mio blog è nato di recente e ho cercato di toccare vari contenuti che possano essere d’interesse sugli aspetti che più mi appassionano: la crescita personale, il marketing e il business digitale, il mindset imprenditoriale, la gestione del denaro. Per ogni articolo cerco di proporre delle tecniche che possano aiutare i miei lettori a mettere in pratica fin da subito dei concetti potenzialmente solo teorici.
C’è qualche argomento che ti piacerebbe veder approfondito o che hai trovato più interessante di altri? Sarei felicissimo di leggere un tuo commento qui sul blog o su uno dei miei social.
Il mio sogno è che, leggendo, tu possa esclamare: “Wow! Come facevi a sapere che avevo bisogno proprio di questo? Mi hai letto nel pensiero!”
Claudio Rossi – Imprenditore e Business Coach